Secondo la tua teoria non dovrebbe essere così... "chi vede significati, lo fa perché ha bisogno"
Quanto parlare per una inutilità assoluta...
Io posso uccidermi ora. O non uccidermi e aspettare di essere ucciso dal tempo. Posso parlare sempre e inutilmente. O fare un voto e non parlare più. Tutto questo è sullo stesso piano. In vita qualcosa va fatto, o non fatto. E i miei presunti scrupoli nel non uccidermi (per non far stare eventualmente male persone a me vicine, o per paura di non riuscire, o per altri motivi) sono pure sullo stesso piano. Come io vada a rivestire più o meno superficialmente di senso non ha rilevanza. Le mie pseudo-illusioni, riconosciute o meno, non contano. Tutte le mie scelte (esclusa, in teoria, quella della non riproduzione), in fondo, non contano. Tutto il fare o non fare, l'essere coerenti o in contraddizione, è generato dalla (mia) nascita, non dalla (mia) morte, non dal suicidio (un mio suicidio può equivalere alla morte di una mosca spiaccicata). Nascendo uno/a è fregato/a (sempre che uno/a se ne renda conto). Se non ci fossero più nascite, tutto sarebbe risolto (sulla Terra almeno) nel giro di cent'anni. Naturalmente è chiedere troppo. Davvero troppo. Restano le parole dei saggi, di quelli che hanno mentalmente capito come stanno le cose (e non sono rimasti invischiati nella trappola), ad aiutarci a sopportare lo schifo quotidiano, che continua a perpetuarsi. Parole e sopportazioni che, comunque, restano vuote (infinitamente vuote).
"Ci ripugna, certo, considerare la nascita un flagello: non ci è stato forse inculcato che era il bene supremo, che il peggio era posto alla fine e non all'inizio della nostra traiettoria? Il male, il vero male, è però dietro, non davanti a noi. E quanto è sfuggito al Cristo, è quanto ha invece colto il Buddha: 'Se tre cose non esistessero al mondo, o discepoli, il Perfetto non apparirebbe nel mondo...'. E, alla vecchiezza e alla morte, antepone il fatto di nascere, fonte di tutte le infermità e di tutti i disastri." (Emil Cioran)
"Tutte le parole sono logore e l'uomo non può più usarle." (Gianfranco Ravasi, rileggendo il Qohelet)