Perchè ovunque ti giri trovi parole come nuggets, clown, hotspot, account ecc
Sono tutte parole che hanno una traduzione italiana, quindi io mi chiedo perchè usare tutte queste parole non italiane ?
A parere mio, purtroppo, credo che tutto parta dall'idea della maggior parte della gente che l'inglese sia "figo".
A parere mio, purtroppo, credo che tutto parta dall'idea della maggior parte della gente che l'inglese sia "figo".Concordi con me che certi termini inglesi in ambito lavorativo sono utilizzati solo per ostentazione e nel far sembrare più grande nella società la propria professione ?
Sicuramente l'inglese funziona meglio dell'italiano se si vuole apparire.
In paragone al tedesco, la lingua italiana sembra una lingua senza anglicismi😂 Qui sopratutto la gente della sinistra parla una lingua mista: denglish, nella quale usano parole inglesi per fare vedere come cosmopoliti e toleranti loro sono e spesso usano le parole inglesi in un modo sbagliato😂😂😂 idioti…
Non credo che in questo caso destra e sinistra siano molto rilevanti.
In paragone al tedesco, la lingua italiana sembra una lingua senza anglicismi😂 Qui sopratutto la gente della sinistra parla una lingua mista: denglish, nella quale usano parole inglesi per fare vedere come cosmopoliti e toleranti loro sono e spesso usano le parole inglesi in un modo sbagliato😂😂😂 idioti…C'è anche da dire che voi tedeschi conoscete l'inglese meglio di noi, in ogni caso sono sorpreso di questa scoperta
Non credo che in questo caso destra e sinistra siano molto rilevanti.Devo amettere una cosa: tre giorni fa un segretario di Stato del ministero del lavoro ha proposto, che l’Inglese potrebbe essere in futuro la seconda lingua ufficiale della Germania, per dare vantaggi a tutti illegali “rifugati”, che son portati in Germania, grazia al nostro governo Rosso-verde…e poi la Sinistra tedesca si chiede, perché il tedesco normale in piazza ha il naso pieno e va a votare per la destra…
Non credo che in questo caso destra e sinistra siano molto rilevanti.Pensi, se domani uno tizio direbbe in Italia:”Fuori con la lingua del Dante o Pirandello! Preparatevi, Italiani, per parlare l’Inglese, perché i nuovi ospiti non hanno in mente di imparare la vostra str…nza lingua!” Non mi voglio imaginare come sarei la situazione in Italia! La lingua materna è il fondamento di nostra cultura nazionale!
Sarebbe uno scenario apocalittico 😱😱Non credo che in questo caso destra e sinistra siano molto rilevanti.Pensi, se domani uno tizio direbbe in Italia:”Fuori con la lingua del Dante o Pirandello! Preparatevi, Italiani, per parlare l’Inglese, perché i nuovi ospiti non hanno in mente di imparare la vostra str…nza lingua!” Non mi voglio imaginare come sarei la situazione in Italia! La lingua materna è il fondamento di nostra cultura nazionale!
Vedi…Sarebbe uno scenario apocalittico 😱😱Non credo che in questo caso destra e sinistra siano molto rilevanti.Pensi, se domani uno tizio direbbe in Italia:”Fuori con la lingua del Dante o Pirandello! Preparatevi, Italiani, per parlare l’Inglese, perché i nuovi ospiti non hanno in mente di imparare la vostra str…nza lingua!” Non mi voglio imaginare come sarei la situazione in Italia! La lingua materna è il fondamento di nostra cultura nazionale!
Apocalittico ma può succedere benissimo. Noi italiani siamo troppo ignoranti. Non amiamo e non conosciamo la nostra lingua, la nostra storia, la nostra geografia. Siamo culturalmente deboli e facilmente colonizzabili. Non abbiamo un minimo di patriottismo anche a causa di una classe politica di livello infimo. Se da Bruxelles arriva l' ordine di parlare inglese e di vietare l' italiano, accettiamo subito sia che ci governi la destra sia che ci governi la sinistra. O ci svegliamo o siamo destinati ad estinguerci.
"QUOTO" è un anglicismo. Comunque a qualcuno, forse una minoranza ma meritevole di grande mia considerazione perché comprende me stesso, gli anglicismi e i miscugli di lingue in generale danno, all'opposto, sensazione di superficialità e povertà culturale.Sicuramente l'inglese funziona meglio dell'italiano se si vuole apparire.Quoto in pieno ahimè
Le parole esistono sempre anche quando desuete come "desueto". Il mio caro amico super informatico da 25 anni a Londra dopo due a New York, quando parla con italiani tira fuori tutte le parole che gli informatici mezze calzette rimasti in Italia negano essere presenti nella lingua italiana.
Io cerco di evitare, tollerando poco più che "computer", giusto perché molto più breve di "elaboratore elettronico".
E' un fatto che le lingue si evolvono, anche con scambi, e che questi sono aumentati con i mezzi di comunicazione di massa (interessante sarebbe uno studio su quanto sia rallentata da questo la graduale differenziazione linguistica che ha accompagnato le migrazioni umane).
Ma non per questo docenti e intellettuali devono subire passivamente la corrente. Frenare è doveroso, considerato che, immancabilmente, data la scarsa condivisione di conoscenze linguistiche, a lasciare tutto in mano ai ragazzi del muretto o agli impiegati che si vogliono dare arie prevale la semplificazione grammaticale dei pensieri espressi e la approssimazione semantica.
Proprio quando pretendono di usare un linguaggio più tecnico molte persone sviluppano una comunicazione approssimativa (che loro direbbero "fuzzy"). Soprattutto confondono le idee di chi è fuori da una ristretta cerchia che tenta di darsi un tono da setta iniziatica, come già con il "latinorum" messo alla berlina nella maschera del dottor Balanzone.
La lingua si impoverisce. Il rischio è la "neolingua" inadatta a pensieri complessi e precisi come in "1984".
Se si sa tenere duro, una parte dei neologismi comunque si stabilizzerà, ma in modo un po' selezionato e dopo aver fatto chiarezza sui significati.
Tornano in italiano parole latine dall'inglese con significati alterati e perfino incompatibili con le parole italiane.
Ad esempio le persone cono convinte che "digitare", che effettivamente ha origine in "digitus", dito, significhi battere a macchina invece si intendeva trasformare in cifre numeriche ("digits") elaborabili elettronicamente. E fin qui nulla di grave.
Vado più in bestia quando il verbo "finalizzare" anziché orientare ad uno scopo diventa concludere. Per stare alle parole "alla maniera inglese" che non sono direttamente quelle inglesi (anche perché è pieno di gente che usa il francese "stage" pronunciandolo all'inglese illudendosi di significare "internship") i danni sono già gravissimi. Pur venendo tutto dal latino "stare" equivalente all'italiano, e, apprendo, dal sanscrito “STHĀ”.
Essendomi occupato anche di giornalismo ho chiarissima la utilità di parole corte non pesanti e facili da mettere nei titoli. Ma quando per anni si chiama "governatore" il presidente della giunta regionale e "premier" quello del consiglio dei ministri si stanno già realizzando psicologicamente riforme costituzionali (nefaste e in Italia anticostituzionali). Governatore appare una attrazione verso la parola "governor" come termine istituzionale statunitense, incurante della storia italiana, non solo semantica, nella quale governatore è uno messo a dominare altri in rappresentanza di un potere superiore. E discutendo di premierato ora molti lo percepiscono come realtà da tempo immanente e non come violento vulnus alla forma della democrazia parlamentare.
Tanto per chiarire che non si tratta di un argomento senza impatti pratici anche gravi.
Aggiungo che l'anglicismo (americano) "di colore" è molto più razzista della parola italiana "negro" erroneamente assimilata alla semantica dello statunitense "nigger" usato in un contesto culturale e storico diverso dal nostro. Chiaro che l'una o l'altra possono essere usate con vari gradi di disprezzo (come milanese, romano, napoletano e un po' tutto) e che parlare di una persona anzitutto qualificandolo negro (o di colore) come non si fa con i "bianchi" è scorretto quanto presentare una donna con incarichi pubblici o professionali, iniziando a descriverne la generosa scollatura e le cosce ben in vista.
Le parole esistono sempre anche quando desuete come "desueto". Il mio caro amico super informatico da 25 anni a Londra dopo due a New York, quando parla con italiani tira fuori tutte le parole che gli informatici mezze calzette rimasti in Italia negano essere presenti nella lingua italiana.Io cerco di evitare, tollerando poco più che "computer", giusto perché molto più breve di "elaboratore elettronico".
E' un fatto che le lingue si evolvono, anche con scambi, e che questi sono aumentati con i mezzi di comunicazione di massa (interessante sarebbe uno studio su quanto sia rallentata da questo la graduale differenziazione linguistica che ha accompagnato le migrazioni umane).
Ma non per questo docenti e intellettuali devono subire passivamente la corrente. Frenare è doveroso, considerato che, immancabilmente, data la scarsa condivisione di conoscenze linguistiche, a lasciare tutto in mano ai ragazzi del muretto o agli impiegati che si vogliono dare arie prevale la semplificazione grammaticale dei pensieri espressi e la approssimazione semantica.
Proprio quando pretendono di usare un linguaggio più tecnico molte persone sviluppano una comunicazione approssimativa (che loro direbbero "fuzzy"). Soprattutto confondono le idee di chi è fuori da una ristretta cerchia che tenta di darsi un tono da setta iniziatica, come già con il "latinorum" messo alla berlina nella maschera del dottor Balanzone.
La lingua si impoverisce. Il rischio è la "neolingua" inadatta a pensieri complessi e precisi come in "1984".
Se si sa tenere duro, una parte dei neologismi comunque si stabilizzerà, ma in modo un po' selezionato e dopo aver fatto chiarezza sui significati.
Tornano in italiano parole latine dall'inglese con significati alterati e perfino incompatibili con le parole italiane.
Ad esempio le persone cono convinte che "digitare", che effettivamente ha origine in "digitus", dito, significhi battere a macchina invece si intendeva trasformare in cifre numeriche ("digits") elaborabili elettronicamente. E fin qui nulla di grave.
Vado più in bestia quando il verbo "finalizzare" anziché orientare ad uno scopo diventa concludere. Per stare alle parole "alla maniera inglese" che non sono direttamente quelle inglesi (anche perché è pieno di gente che usa il francese "stage" pronunciandolo all'inglese illudendosi di significare "internship") i danni sono già gravissimi. Pur venendo tutto dal latino "stare" equivalente all'italiano, e, apprendo, dal sanscrito “STHĀ”.
Essendomi occupato anche di giornalismo ho chiarissima la utilità di parole corte non pesanti e facili da mettere nei titoli. Ma quando per anni si chiama "governatore" il presidente della giunta regionale e "premier" quello del consiglio dei ministri si stanno già realizzando psicologicamente riforme costituzionali (nefaste e in Italia anticostituzionali). Governatore appare una attrazione verso la parola "governor" come termine istituzionale statunitense, incurante della storia italiana, non solo semantica, nella quale governatore è uno messo a dominare altri in rappresentanza di un potere superiore. E discutendo di premierato ora molti lo percepiscono come realtà da tempo immanente e non come violento vulnus alla forma della democrazia parlamentare.
Tanto per chiarire che non si tratta di un argomento senza impatti pratici anche gravi.
Aggiungo che l'anglicismo (americano) "di colore" è molto più razzista della parola italiana "negro" erroneamente assimilata alla semantica dello statunitense "nigger" usato in un contesto culturale e storico diverso dal nostro. Chiaro che l'una o l'altra possono essere usate con vari gradi di disprezzo (come milanese, romano, napoletano e un po' tutto) e che parlare di una persona anzitutto qualificandolo negro (o di colore) come non si fa con i "bianchi" è scorretto quanto presentare una donna con incarichi pubblici o professionali, iniziando a descriverne la generosa scollatura e le cosce ben in vista.
Le parole esistono sempre anche quando desuete come "desueto". Il mio caro amico super informatico da 25 anni a Londra dopo due a New York, quando parla con italiani tira fuori tutte le parole che gli informatici mezze calzette rimasti in Italia negano essere presenti nella lingua italiana.Descrizione dettagliatissima.Io cerco di evitare, tollerando poco più che "computer", giusto perché molto più breve di "elaboratore elettronico".
E' un fatto che le lingue si evolvono, anche con scambi, e che questi sono aumentati con i mezzi di comunicazione di massa (interessante sarebbe uno studio su quanto sia rallentata da questo la graduale differenziazione linguistica che ha accompagnato le migrazioni umane).
Ma non per questo docenti e intellettuali devono subire passivamente la corrente. Frenare è doveroso, considerato che, immancabilmente, data la scarsa condivisione di conoscenze linguistiche, a lasciare tutto in mano ai ragazzi del muretto o agli impiegati che si vogliono dare arie prevale la semplificazione grammaticale dei pensieri espressi e la approssimazione semantica.
Proprio quando pretendono di usare un linguaggio più tecnico molte persone sviluppano una comunicazione approssimativa (che loro direbbero "fuzzy"). Soprattutto confondono le idee di chi è fuori da una ristretta cerchia che tenta di darsi un tono da setta iniziatica, come già con il "latinorum" messo alla berlina nella maschera del dottor Balanzone.
La lingua si impoverisce. Il rischio è la "neolingua" inadatta a pensieri complessi e precisi come in "1984".
Se si sa tenere duro, una parte dei neologismi comunque si stabilizzerà, ma in modo un po' selezionato e dopo aver fatto chiarezza sui significati.
Tornano in italiano parole latine dall'inglese con significati alterati e perfino incompatibili con le parole italiane.
Ad esempio le persone cono convinte che "digitare", che effettivamente ha origine in "digitus", dito, significhi battere a macchina invece si intendeva trasformare in cifre numeriche ("digits") elaborabili elettronicamente. E fin qui nulla di grave.
Vado più in bestia quando il verbo "finalizzare" anziché orientare ad uno scopo diventa concludere. Per stare alle parole "alla maniera inglese" che non sono direttamente quelle inglesi (anche perché è pieno di gente che usa il francese "stage" pronunciandolo all'inglese illudendosi di significare "internship") i danni sono già gravissimi. Pur venendo tutto dal latino "stare" equivalente all'italiano, e, apprendo, dal sanscrito “STHĀ”.
Essendomi occupato anche di giornalismo ho chiarissima la utilità di parole corte non pesanti e facili da mettere nei titoli. Ma quando per anni si chiama "governatore" il presidente della giunta regionale e "premier" quello del consiglio dei ministri si stanno già realizzando psicologicamente riforme costituzionali (nefaste e in Italia anticostituzionali). Governatore appare una attrazione verso la parola "governor" come termine istituzionale statunitense, incurante della storia italiana, non solo semantica, nella quale governatore è uno messo a dominare altri in rappresentanza di un potere superiore. E discutendo di premierato ora molti lo percepiscono come realtà da tempo immanente e non come violento vulnus alla forma della democrazia parlamentare.
Tanto per chiarire che non si tratta di un argomento senza impatti pratici anche gravi.
Aggiungo che l'anglicismo (americano) "di colore" è molto più razzista della parola italiana "negro" erroneamente assimilata alla semantica dello statunitense "nigger" usato in un contesto culturale e storico diverso dal nostro. Chiaro che l'una o l'altra possono essere usate con vari gradi di disprezzo (come milanese, romano, napoletano e un po' tutto) e che parlare di una persona anzitutto qualificandolo negro (o di colore) come non si fa con i "bianchi" è scorretto quanto presentare una donna con incarichi pubblici o professionali, iniziando a descriverne la generosa scollatura e le cosce ben in vista.